11.05.2023

Sedute impossibili: l’arte di sedersi

Sappiamo riconoscerle da poche semplici caratteristiche che ne determinano l’aspetto, ma soprattutto la funzione. Cosa definisce effettivamente una seduta? Scopri come progettisti e artisti hanno indagato l’ oggetto “sedia” attraverso il '900.

In ogni ambiente interno (spesso e volentieri anche esterno) ne troviamo almeno una. A volte per stare da soli, a volte la si usa in coppia o anche più persone. Conosciamo la posizione da avere su di essa dai primissimi mesi della nostra vita e la sfruttiamo con naturalezza nella nostra quotidianità. È la sedia. Cosa definisce, però, davvero questo oggetto? Sembra scontato, ma non lo è. Quante volte abbiamo provato diverse sedute nei negozi di arredamento definendole troppo alte, troppo basse, poco stabili, scomode…? È quindi la comodità, l’ergonomia e, quindi, la funzione a definire l’ oggetto sedia o vi è spazio di interpretazione nel suo concetto intrinseco? Nel corso della storia dell’arte e del design molti si sono posti questi interrogativi, scopriamo insieme come nel secolo scorso l’ argomento è stato affrontato.

Nel 1944 Bruno Munari (Milano, 1907-1998) mette in discussione il metodo di progettare di molti colleghi criticando la necessità forzata nel ricercare ogni volta la novità e l’originalità nell’oggetto che stanno andando a creare, spesso a discapito di ciò che dovrebbe essere uno dei fondamentali dell’oggetto stesso: il comfort e la sua praticità. Con l’ironia che lo ha sempre contraddistinto, prende in causa proprio il caso "poltrona" che è il più evidente e pubblica sulla rivista Domus la provocazione: Uno torna a casa stanco per aver lavorato tutto il giorno e trova una poltrona scomoda. Voi capite che si può andare avanti per mille anni (e forse anche di più) a inventare mobili sempre diversi, seguendo tutte le mode di tutti i paesi, i materiali che le industrie buttano ogni momento sul mercato, le tendenze, eccetera, tutto ciò per soddisfare il gusto del buon borghese che non vuole avere in casa sua una poltrona uguale a quella che ha il suo collega d'ufficio. (...) Potremo dire di aver lavorato per noi, per l'Uomo (e per la Donna) e non per l'Estro (o per la Bizzarria) soltanto. (...) Dite la verità: la comprereste anche voi una poltrona dove siete sicuri che vi potete riposare anche se questo modello lo hanno tutti?

Un anno dopo questa pubblicazione, il designer presenta per Zanotta la Sedia per visite brevissime. Creata in nove soli esemplari, la sua particolarità più evidente è la seduta, inclinata a 45° per suggerire all’ospite di non fermarsi troppo. I materiali sono i classici che potremmo attribuire all’archetipo di sedia: legno di noce lucidato a cera con intarsi e sedile in alluminio anodizzato, per garantire, forse, un migliore scivolamento dell’ospite verso l’uscita. Il prodotto proposto da Munari non non nega l’ essenza dell’ oggetto, ma mette in discussione la sua comodità e l’ergonomia. Possiamo definirlo un oggetto di design? Forse anche un gioco o addirittura un’opera d’arte. Un' ironica provocazione? Forse tutte insieme, la sedia di Munari è intelligenza, è divertimento, è arte.

Uscendo dal mondo del design troviamo interrogativi analoghi nell' Arte Concettuale: ad introdurci a questa corrente è Joseph Kosuth (Toledo, 1945) nel 1965 con Una e tre sedie, un' opera composta da una sedia, una fotografia della sedia e la riproduzione stampata, in grandi dimensioni, della voce “sedia” di un vocabolario. Il significato di questa volontà artistica è chiaro: far meditare sul rapporto e sul valore reciproco delle parole delle immagini in rapporto a ciò che chiamiamo “realtà”. La sua intenzione è molto forte: neutralizzare qualunque questione riguardo il piacere estetico nel modo più radicale, eliminandolo. Il concetto dice, logicamente e semioticamente, tutto il necessario per fruire dell’opera. 

Nel 1974 Alessandro Mendini (Milano, 1931-2019) è direttore della rivista Casabella e per la copertina decide di mettere in atto una performance di denuncia significativa dando letteralmente fuoco alla sua Lassù, opera dal tono già assai critico poiché composta da una sedia nata per essere irraggiungibile e, di conseguenza, inutilizzabile. Un oggetto totalmente privo di funzionalità elevato ad opera d’ arte dal linguaggio misterioso e primitivo. Con il gesto di bruciare (e quindi distruggere completamente) l’oggetto, il designer vuole sottolineare ulteriormente la sua mancanza di riscontro pratico nonché la sua durata nel tempo limitata; anche gli oggetti nascono, muoiono e hanno una loro drammatica esistenza. Ancora una volta ci viene posto l’ interrogativo: è la funzione a determinare un oggetto come può essere una comune sedia

Cercando nella cultura pop moderna possiamo trovare altri riferimenti critici inerenti all'importanza della funzionalità degli oggetti: un esempio lo si può riscontrare nel film Men In Black del 1997 diretto da Barry Sonnenfeld. Qui si nota una sottile critica ironica alla praticità effettiva di uno degli oggetti più riconoscibili del design della seconda metà del ‘900: la Ovalia Egg Chair di Henrik Thor-Larsen del 1968. In una scena del film, infatti, il protagonista (Will Smith), insieme ad altri seduti sulle poltrone a uovo, viene sottoposto a un esame per testare le capacità intellettuali per poter entrare a far parte della sezione speciale MIB. 

Si nota subito la difficoltà del gruppo nello stare seduti sulle sedute evidentemente non adatte alla semplice azione di compilare i fogli di carta consegnati. Il protagonista è l’ unico a pensare di avvicinare a sé un tavolino in modo da potersi appoggiare e scrivere più comodamente. Questo semplice gesto ci dimostra non solo la predisposizione del personaggio al famoso pensiero laterale, ma ci fa riflettere sul concetto di ergonomia di un arredo, in questo caso di una poltrona, relazionato al contesto. 

La Ovalia Egg Chair, così come la più nota Egg Chair di Eero Aarnio, è sicuramente rappresentativa dello stile Space Age dell’ epoca nella forma e nei materiali usati, ma estremamente limitata nella praticità: può essere utilizzata essenzialmente per rilassarsi, certo, ma non è adatta come seduta nel senso più ampio del termine o per facilitare scambi sociali e relazionali data infatti la sua forma avvolgente e isolante.

Compiendo un salto in avanti agli anni 2000 atterriamo all’edizione del Salone del Mobile del 2016, quando Nendo propone una collezione di 50 sedie da lui disegnate ispirate al mondo dei fumetti Manga. Il Manga è un genere di illustrazione grafica profondamente radicato nella cultura giapponese e le sue origini possono essere ricondotte alle stampe Ukiyoe, sviluppate tra il 1603 e il 1868 d.C. Rappresenta un mezzo di espressione con un alto grado di planarità e astrazione, composto da una serie di linee. La 50 Manga Chairs ideata dal designer per Friedman Benda consiste quindi in 50 sedute allineate in una griglia, ciascuna evoca un senso di storia e ciascuna viene caratterizzata da un elemento di design tratto dal mondo manga. Ad esempio, un “fumetto” o “linea d’effetto” sono aggiunte per visualizzare un suono o un’azione; o ancora, dei simboli emotivi da manga, come “sudore” o “lacrime”, si formano in modo che un senso di storia e carattere possa essere sentito. Dei manga però non è ripreso tutto: piuttosto che realizzare oggetti colorati o dalla texture ispirata fedelmente al fumetto giapponese, il designer opta per una soluzione più concettuale con la finitura a specchio, in grado di generare nuove dimensioni spaziali nel riflettere la realtà. Siamo davanti a un estremo della rappresentazione dell’ oggetto sedia: la funzione non è assolutamente contemplata, si mantengono solo alcune delle caratteristiche riconoscibili dell’arredo, ma si sceglie un linguaggio totalmente opposto alla realtà pratica e fisica riferendosi alla sfera bidimensionale e grafica del fumetto.