07.09.2023

Consigli e tendenze

Mini guida alla lavorazione del vetro artigianale

Rigorosamente soffiato a mano e lavorato ad altissima temperatura il vetro può regalare effetti straordinari se lavorato con maestria. Scopri con noi quali sono le tecniche più originali e ricercate da amatori e collezionisti come l'incalmo, la filigrana, il vetro incamiciato ed altro ancora.

Basta sfogliare il catalogo di intOndo o un qualsiasi catalogo d’asta specializzato per incontrare veri e propri capolavori in vetro soffiato a mano nelle fornaci di Murano o altrove nel mondo. Ma quanto capiamo delle tecniche di realizzazione di questi delicati gioielli? Dato per scontato che il nostro pubblico sappia che la lavorazione del vetro può essere complessa e richiede abilità ed esperienza per essere padroneggiata. A mo’ di guida elenchiamo qui sotto tutto ciò che serve per realizzare un'opera in vetro artigianale, incluse alcune delle tecniche artigianali più pregiate e diffuse*. 

Materie prime: L'arte vetraria tradizionale prevede l'utilizzo di materie prime come la silice (sabbia), la soda (carbonato di sodio) e il calcare (carbonato di calcio). Questi materiali vengono mescolati per creare una partita di vetro.

Fornace: un forno per il vetro utilizzato per fondere le materie prime in uno stato di vetro fuso. Il forno può raggiungere temperature di oltre 2.000 gradi Celsius (3.600 gradi Fahrenheit).

Cannello: il lungo tubo cavo utilizzato dal soffiatore per raccogliere il vetro fuso dal forno e modellarlo nella forma desiderata.

Strumenti: Per modellare, tagliare e manipolare il vetro si utilizzano vari strumenti. Possono essere martinetti, cesoie, palette, pinzette e stampi.

Vetro pulegoso: si presenta pieno di bollicine ottenute introducendo nella massa fusa una sostanza atta a produrre lo sviluppo di bolle di gas. La tecnica venne sviluppata negli Anni Venti da Napoleone Martinuzzi alla Venini. Per queste sue creazioni, infatti, egli adottò una inedita materia opaca dall’aspetto spugnoso, caratterizzata dall’inclusione di innumerevoli bollicine (puleghe) che si formavano in seguito all’aggiunta di bicarbonato di sodio o di petrolio nella massa vetrosa incandescente. Il vetro pulegoso era stato studiato dall’artista per meglio rispondere all’esigenza di plasticità insita nella sua natura di scultore. Inoltre, particolarmente interessato ai vetri antichi, di cui aveva già proposto le forme in alcuni trasparenti, egli necessitava di un materiale che ne imitasse la consistenza e l’opacità.

Incalmo: L’incalmo è una tecnica vetraria che consente la realizzazione di oggetti costituiti da parti distinte unite a caldo. Il processo, in uso nel mondo islamico fin dal Medioevo, richiede grande precisione perché gli elementi da unire devono avere lo stesso diametro ai margini, compatibilità di colori e temperatura.Il maestro Checco Ongaro ha realizzato il Cappello del Doge, esposto nella mostra Thomas Stearns alla Venini, utilizzando il doppio incalmo, cioè replicando la tecnica sullo stesso pezzo.

Vetro incamiciato: La tecnica dell’incamiciatura è una tecnica antica, largamente impiegata anche ora, che si ottiene immergendo un vetro soffiato in lavorazione in un crogiolo di vetro di diverso colore. I vetri incamiciati rappresentano il nucleo principale della produzione Venini nata dalla collaborazione con Tomaso Buzzi che, particolarmente interessato alla loro tecnica di realizzazione, si dedicò con entusiasmo alla sua sperimentazione. Attraverso questa ricerca, operata insieme ai maestri vetrai, l’architetto mette a punto un inedito tessuto vitreo di sua concezione, che prevede la sovrapposizione di strati sottilissimi di vetro colorato inframmezzati da uno o due strati di lattimo, altrettanto sottile, per un totale che va da 5 a 7 strati. Il tessuto che ne deriva viene poi impreziosito dall’applicazione di una foglia d’oro, ottenendo così tonalità inedite, ricche di intensità e sfumature.

Vetro iridato: L’iridazione è un effetto che si viene a creare quando, per evaporazione di un ossido metallico (stagno o altri metalli), una sottilissima pellicola di origine metallica si deposita sulla superficie di un oggetto finito, sulla quale poi la luce si riflette irregolarmente. Questa tecnica ha visto il suo massimo sviluppo nella seconda metà dell’Ottocento, quando si pensò di riprodurre l’effetto del deperimento superficiale subìto dal vetro nel tempo. Fu Antonio Salviati, intorno al 1880, ad introdurre a Murano questo processo di iridazione che veniva già da qualche tempo applicato ai cristalli stranieri: i vetri così prodotti vennero chiamati metalliformi. Nel 1940 alla VII Triennale di Milano e alla XXII Biennale di Venezia vennero tuttavia presentati da Venini alcuni oggetti che devono la loro peculiarità proprio a questo trattamento. 

Vetro corroso: La corrosione artificiale della superficie del vetro avveniva generalmente mediante acido fluoridrico. La superficie dell’oggetto veniva ricoperta con uno strato irregolare di cera fusa, mediante spugnatura; immergendo poi l’oggetto in un bagno contenente segatura e acido fluoridrico, si ha corrosione nelle zone non protette dalla cera. L’effetto ottenuto è simile a quello di una superficie ghiacciata. La tecnica è ora abbandonata per il rischio sanitario connesso all’uso dell’acido fluoridrico o dei suoi sali. I vetri corrosi della Venini furono presentati nel 1936 alla VI Triennale di Milano e alla XX Biennale di Venezia. Con questa tecnica Carlo Scarpa ideò un’ampia gamma di vetri dalle forme morbide, decorati, a volte, da applicazioni a caldo di bugne, fasce o rilievi, anch’esse corrose.

Vetro a murrine: Una tecnica antichissima sviluppatasi in epoca alessandrina e romana (I secolo a.C. – I secolo d.C.), riscoperta dai veneziani alla fine del XV secolo e da questi ripresa nella seconda metà dell’Ottocento (intorno al 1870). La tecnica di esecuzione consiste nell’accostare le murrine (sezioni trasversali di canne realizzate in precedenza) sopra una piastra metallica rivestita di argilla. Più volte introdotte nel forno a circa 700 gradi, queste, per effetto del calore, si saldano formando un tessuto vitreo. Dai primi anni cinquanta Paolo Venini propose una singolare rilettura del vetro a murrine che impiegò per dare vita a suggestive serie di vetri. La prima di queste, databile al 1953, vede l’impiego di murrine chiamate in veneziano “a dame” (a scacchiera) dal motivo bicromo a quadrati alternati.

Veetro a mosaico: in uso dal XIX secolo il vetro a mosaico è realizzato con frammenti di vetro (tessere e/o sezioni di bacchetta) di diversi colori accostati tra di loro e fusi insieme. Per la realizzazione dei pezzati, le tessere ricavate da una canna schiacciata a nastro e tagliata a freddo venivano disposte a mosaico su una piastra refrattaria. Una volta introdotte nel forno, queste, per effetto del calore, si saldavano tra loro formando un tessuto vitreo che veniva chiuso a cilindro per essere lavorato, con la soffiatura e la modellazione a caldo, secondo la forma desiderata. Alla XXV Biennale veneziana del 1950 si vide anche un primo esemplare di vetro pezzato, dove le stesse tessere formano la parete dell’oggetto.

 

*Fonte di supporto alla guida: Glossario, Le stanze del vetro