07.04.2022

Le storie

Warhol e gli interni della sua Factory

"L'argento era il futuro, ed era spaziale - gli astronauti indossavano tute d'argento... E l'argento era anche il passato, il Silver Screen - le attrici di Hollywood fotografate in set d'argento. E forse più di ogni altra cosa, l'argento era il narcisismo - gli specchi erano rivestiti d'argento". Designer Ben Kelly, cattedra di design d'interni e spaziale all'Università delle Arti di Londra

New York anni ‘60, un giovane Andy Warhol arriva alla conquista della città trasferendosi dai quartieri popolari di Pittsburgh, sua città natale. Il resto è storia, la storia dell’artista americano più celebre del XX secolo. Una nuova serie lanciata da Netflix ci riporta nella New York degli anni ‘60, ‘70 e ‘80 per raccontarci Warhol attraverso le parole dei suoi diari (la narrazione in prima persona è ricostruita attraverso una voce creata con l’ausilio di AI).

La serie, che si sviluppa in sei episodi, racconta della vita di Andy, le sue relazioni, gli altri e bassi della sua carriera e delle sue vicende personali, ma anche degli ambienti in cui è stata creata la “persona” Andy Warhol. Un ruolo determinante è ricoperto dalla Factory, lo studio dell’artista e le sue 3 location.

La prima, la Silver Factory, era lo studio di Warhol al quinto piano del 231 E. 47th Street, dove dal 1962 al 1968 Warhol intratteneva e metteva a lavoro una vera e propria community di artisti e creativi di ogni genere e tipo. Qui vengono registrati tutti i primi film di Warhol e il materiale per documentare gli ambienti non mancano di certo. 

Progettata dall’amico fotografo di Andy, Billy Name, nello stile del suo stesso appartamento la Silver Factory si distingueva per avere ogni parete coperta con vernice d'argento, carta stagnola e specchi fratturati. Un look molto Space age, ma anche il colore delle star del momento e quello dello specchio espressione massima di ogni narcisimo. "Era nuovo, era radicale, era argento ed era POP", queste poche parole del designer Ben Kelly ci danno subito un'idea dell’ambiente.

Considerando la natura meccanica della pop art di Andy Warhol, il nome Factory non era stato certo scelto a caso: qui lavorava ai suoi celebri silkscreens, registrava film, riceveva amici e conoscenti ponendo le basi per il successo degli anni a seguire. 

Il nome non era casuale infatti Warhol era il primo a sostenere che anche l'arte, come i prodotti industriali di massa - si pensi al barattolo di tomato soup Campbell’s,era un bene di consumo. E i suoi soggetti piacevano, non tanto alle élite (o meglio, non solo alle élite), quanto a una società più ampia con un impatto che si può definire di massa. Attraverso la sua arte pop di questo periodo Warhol ci sembra dire: così come chiunque può possedere qualsiasi oggetto prodotto in fabbrica, chiunque può possedere un Warhol o magari essere ritratto da Warhol.

E che dire degli arredi? La silver factory era uno dei primi loft condivisi: rustici pannelli di separazione creavano uffici e sale riunioni che si potevano agevolmente rivoluzionare quando c’era la registrazione di un film, o una grande party in onore di Andy. L’argento era ovunque. Non che fosse il colore preferito di Warhol, ma perché era il colore del momento, quello delle stelle e il riflesso delle ambizioni spaziali dell’America di quel tempo. Spicca poi per unicità il grande divano semicircolare rosso, un pezzo iconico quasi come i dipinti coloratissimi dell’artista.

Nel 1968 Warhol si trasferisce al sesto piano del Decker Building, un edificio che si affacciava at 33 Union Square West (1968-1973). Il look è molto più business oriented e gli arredi più tradizionali segnano la fine dei mitici Factory 60s di Warhol.

860 Broadway all'estremità nord di Union Square (1974-1984), fu l’ultima sede della Factory.  Questo spazio era molto più grande dei precedenti edifici, ma vi molto meno giro di gente e nel 1984, il concetto di Factory finì per essere messo da parte. Warhol comprò invece l'Edison Building sulla East 33rd Street. Questo fu il luogo in cui stabilì il suo studio e il suo ufficio, così come Interview, la rivista che fondò nel 1969.

Fonte di ispirazione per generazioni, la Factory era una rappresentazione della New York del suo tempo, ma il suo stile e il suo arredamento ispirano tutt'oggi i designer d'interni e i creatori di tendenze, uno dei migliori prodotti usciti dalla fantasia di Andy Warhol.