07.10.2019

Interviste

Sormani: innovazione e design per un arredamento "total living"

In questa intervista Gloria Sormani, figlia di Luigi fondatore della Sormani SpA, ci racconta la storia di una delle aziende d'arredamento più celebri d'Italia. Partendo dagli anni '60 fino alla fine degli anni '80 la Sormani ha progettato e prodotto arredi di design dedicati al concetto di “total living”. Utilizzando materiali e tecniche innovative, dalla fabbrica di Arosio (Como) sono usciti arredi modulari, oggetti di design firmato, mobili trasformabili, lampade avveniristiche, sedie, tappeti e accessori che hanno segnato la storia del design italiano per un trentennio.

intOndo è felice di condividere con i suoi lettori questo vivace ritratto dell'azienda Sormani (Arosio, Como) che è anche un pezzo di storia del design italiano dagli anni '60 alla fine degli anni '80. Ringraziamo Gloria Sormani per averci concesso questa intervista e per la dedizione con cui cura il progetto iniziato da suo padre.

Come e dove nasce la Sormani? 

La Sormani SpA venne fondata ad Arosio (Como) nel 1961 da mio padre, Luigi Sormani (1932-2017), allora ventinovenne. Il padre Giovanni era commerciante di mobili, nei tempi in cui i falegnami brianzoli si prodigavano per produrre “i bei stanzett”: insiemi coerenti di magistrali lavori di ebanisteria e tradizione artigiana. Luigi rivelò un talento precocissimo per l’arredamento e, all’età di diciassette anni, si trasferì a Milano per arredare le case “bene” della prima cerchia dei Navigli e nell’arco di pochi anni aprì un negozio in Corso di Porta Romana, proprio in Crocetta.

Il giovane Sormani (“Luigino”, come lo chiamavano affettuosamente i suoi maestri Giò Ponti e Carlo De Carli) non riteneva che la produzione artigianale, che ben conosceva, potesse soddisfare il desiderio di industrializzazione e di modernità che pervadeva il Bel Paese nel dopoguerra. Il suo sogno era di poter produrre mobili che rivoluzionassero il modo di vivere degli italiani, realizzandoli in strutture di avanguardia, su modello tedesco.

Fu così che, firmando un bel po’ di cambiali e beccandosi una sonora pedata da suo padre (cit.) - di vedute più conservatrici - dette inizio a una delle più pionieristiche avventure della seconda metà del Ventesimo secolo. Tra spirito di innovazione e visione del futuro, i primi dieci anni dell’azienda rappresentano un vero sconvolgimento nel panorama dell’arredo, ancora legato ai mobili in noce massello di cui sopra e alle forme artigianali. Sormani, oltre a fondare la prima industria d’arredamento completamente automatizzata, dotata dei macchinari più all’avanguardia per l’epoca, e, poco dopo, a percepire l’importanza dei computer per lo snellimento dei processi e la lettura dei dati (parliamo di fine anni sessanta…), si adoperò per sperimentare per primo

  • L’utilizzo di materiali esotici (Palissandro Rio) per arricchire la scelta di finiture

  • La realizzazione di arredi in estrusi di alluminio

  • In collaborazione con Bayer, la realizzazione di scocche di poltrone e altri elementi d’arredo (letti, librerie, accessori vari) in plastica termoformata: mobili prodotti come automobili…

  • L’utilizzo della bassa tensione in progetti di illuminazione smaterializzata (cinquant’anni prima dell’Oled), grazie alla collaborazione con lo studio A.R.D.I.T.I.

La naturale conseguenza di questo approccio visionario fu anche una rivoluzione nella progettazione dei prodotti. Pezzi iconici e prodotti seriali (altrettanto iconici, come la collezione AMINA di Claudio Salocchi), fatti di pochi pezzi ben ingegnerizzati, con infinite possibilità di assemblaggio.

Si tratta di un pezzo della storia del design italiano scritta tra genio e innovazione dei materiali. Quali sono stati i vostri cavalli di battaglia?

Difficile stabilire delle priorità, ma certamente sono ancora oggetto di collezionismo:

  • Le librerie GS di Gianni Songia in Palissandro Rio e il GS 195, prezioso divano letto pure in palissandro.

  • I pezzi di Carlo De Carli, dai cassettoni DC 154 ai tavoli in palissandro

  • La maggior parte dei pezzi di Claudio Salocchi (di cui parliamo più sotto): la serie Amina, il tavolo Distico, il divano Paione, la serie Vivalda e Vivaldina, lo sgabello bar Appoggio, la poltrona Palla, la serie Ellisse, la libreria Centro… potremmo andare avanti per pagine e pagine…

  • Il Cabrio Bed, l’Additional System e la Multichair di Joe Colombo

  • Il tavolo Coclea di Fabrizio Cocchia

  • Le lampade Prismar e BT dello Studio Arditi

  • La serie di lampade e accessori in Travertino

  • Le poltrone Nike di Richard Neagle

  • Gli studi sugli accessori in plastica di Studio D.A., di Cesare Casati e di Roberto Lera 

  • Negli ultimi anni Ottanta, la serie “Progetto” e “Sari” di De Pas, D’Urbino, Lomazzi e

  • I loveseat avanguardistici di Walter Leeman

Sono collaborazioni con designer che hanno fatto storia del disign italiano: da Carlo De Carli a Giò Ponti...

Oggi si parla tanto di Archistar… ma una volta veniva prima il prodotto e poi il designer. Tuttavia, ho rinvenuto una bozza del primo catalogo Sormani, apparso nella prima metà degli anni Sessanta, in cui il Designer veniva messo decisamente in primo piano, come fautore ineliminabile del cambiamento. Questo perché Luigi Sormani aveva compreso che lo stile del Designer avrebbe determinato una linea di gusto definita, caratterizzante per l’azienda.

A differenza, però, di parecchi produttori, Sormani non era troppo propenso a soccombere alla creatività dei designer: metteva sempre sul tavolo la sua esperienza produttiva e poneva come prioritaria la fattibilità del pezzo. Certo, questo creava rapporti… frizzanti con i vari designer, ma faceva scaturire amicizie di qualità, vagliate e rafforzate dal confronto costruttivo di idee e dalla stima reciproca.

È curioso come designer di vero genio, sia creativo che produttivo, non siano esattamente passati alla storia: chi si ricorda di Gianni Songia, umile e operoso, fautore, tra l’altro, del progetto proprio della fabbrica Sormani? Le sue collezioni in palissandro e il divano GS195, (divano letto di assoluta classe che aveva spopolato sul mercato tedesco e suscitato l’ammirazione di Osvaldo Borsani) sono tutt’ora negli annali del design. Più facile parlare di Carlo De Carli, i cui pezzi ancora arredano case di blasonati uomini d’affari. 

Tutti oggi, giustamente, rendono omaggio al maestro Giò Ponti, di cui mio padre aveva un’assoluta soggezione (ho una serie di foto dei due “rubate” nella fabbrica, mentre discutevano di un prodotto). In verità Luigi pensava che “Il Maestro” gli potesse risolvere un progetto cui lui teneva particolarmente: la realizzazione di una serie di pannelli numericamente limitata, capace però di arredare tutti gli ambienti della casa. Luigi aveva in mente i progressi fatti da Interlübke e voleva ingegnerizzare una linea di questo tipo, particolarmente adatta per la produzione in serie. Nel 1967-68, quindi, aveva avvicinato Ponti, ritenendo che avrebbe potuto fare il lavoro richiesto. Ponti, mi sia concesso, in tema di arredo era però evidentemente più “artista” che “ingegnere” e tutto quello che ne uscì fu una linea piuttosto anonima di elementi, non poi così componibili, che non ebbe grande successo (anche se ebbi l’onore di avere la mia prima cameretta arredata dal Grande Ponti).

Il vero amore e il vero connubio produttore-designer si realizzò invece con Claudio Salocchi, assoluto genio industriale, con il quale Sormani realizzò le sue più belle collezioni (vedi sopra). Salocchi era entrato un bel mattino di primavera del 1962 nel negozio di Crocetta con i disegni sotto il braccio, deciso a ottenere un appuntamento con questo giovane industriale di cui si cominciava a parlare. Il risultato furono vent’anni di collaborazione assidua e di un’amicizia profonda, durata fino alla morte dei due eroi, nonostante gli alti e bassi della vita e le alterne fortune.

Altra importante collaborazione fu quella con lo Studio A.R.D.I.T.I. – tutt’ora sono personalmente in contatto con l’entusiasmante Duccio Trassinelli - che portò…una luce nuova nelle case degli Italiani. Le lampade PRISMAR sono ancora di un’attualità impressionante e la romantica e soffusa luce delle lampade magnetiche a bassa tensione BT è ancora oggetto di ricerca tra i collezionisti.

Una menzione d’onore merita infine la collaborazione con Joe Colombo, giunto da Sormani alquanto disperato, perché nessuna delle altre blasonate aziende riusciva a realizzargli tecnicamente la sua seduta "Additional System": la incastravano in uno scatolotto che avrebbe dovuto contenere gli elementi della cuscinatura, mentre questi avrebbero dovuto, nell’intenzione del designer, essere autoportanti. Sormani risolse (quasi) istantaneamente la problematica e la seduta divenne una pietra miliare nella storia del design. Insieme realizzarono anche Rotoliving, modulo completo di arredo presentato alla mitica mostra del Museum of Modern Art di New York “Italy: the New Domestic Landscape” del 1972, l’avanguardistico “Cabrio Bed”, primo letto multifunzionale della storia del design contemporaneo, e la già citata Multichair.

Qual è la filosofia aziendale che ha contraddistinto la vostra azienda familiare?

La filosofia si riassume nel motto “Sormani è domani”. 

Sormani è esistita fino a che Luigi ha creduto nell’innovazione: innovazione del modus vivendi, della produzione, del prodotto, dei materiali, dell’ingegnerizzazione, del marketing, delle vendite. Un paio di colpi veramente avversi del destino (basta googlare, inutile ripetersi) hanno progressivamente segnato il proverbiale ottimismo e la fiducia nel prossimo di questo grande innovatore. Che dire… meno male, anche lui era umano! 

Come vedi il futuro delle aziende di design di oggi?

Se parliamo di design industriale nell’arredo, oggi alle aziende italiane manca la numerica di un tempo. I designer non sono più così “sposati” a una singola azienda e questo penalizza un po’ la varietà di linee di tendenza e omologa un po’ tutti i design. Per fortuna restano alcune eccezioni.

Alcune aziende, inoltre, pagano il loro stesso assetto produttivo, che le lega a un output obbligato che impedisce una vera innovazione. Altre aziende sono di fatto dei grossi artigiani che rincorrono le ubbìe dei clienti più esigenti. Producono bene, ma non innovano. Certo, così dicendo sto solo pensando al prodotto. La storia attuale pone l’accento sul fatto che il modo di stare sul mercato va anteposto, per così dire, al prodotto. 

Si parla molto di trasformazione digitale, ma poche aziende stanno realmente capendo la portata e l’importanza dell’utilizzo di questi tools. La trasformazione digitale permea l’azienda tutta, non solo la produzione e non solo il marketing. Poche aziende lo stanno capendo. Confido che il futuro verrà rivelato dal mercato stesso alle aziende che avranno saputo intercettare i suoi segnali utilizzando strumenti adeguati. Ma questa è un’altra intervista.