12.05.2021

Le storie

Colli: Storia di un'eccellenza torinese

Dal Déco agli anni '40: riscopriamo gli eleganti mobili della ditta Colli, di gran moda nella metà del 900, e oggi una della manifatture più amate dal mercato dell'antiquariato e vintage in tutto il mondo.

Quella di Colli è la storia di un'avventura imprenditoriale unica, frutto di intuizioni geniali, di un gusto innato per il bello e del coraggio di confrontarsi con il mondo. Da questa avventura hanno preso vita arredi raffinatissimi, che spaziano dall’Art Déco agli anni ‘60; e anche se la ditta è ormai estinta, le sue creazioni sono vive più che mai grazie al mercato vintage, seguiti dai grandi collezionisti di tutto il mondo e dagli appassionati dell'ultima generazione.

Perché lo stile di Colli conquista il gusto contemporaneo? Innanzitutto ogni suo pezzo era sartoriale: anche quando un tipo di arredo veniva proposto a svariati clienti, subiva modifiche per adattarsi ai diversi contesti. Disegni e documentazioni indicavano le modifiche, ecco perché i mobili di Colli accendono l'interesse degli appassionati della genesi e del percorso di un arredo. Da cosa riconosciamo un mobile di Colli? Il marchio ha attraversato diverse epoche, ma il comune denominatore è la lavorazione minuziosa del legno, elegantemente decorato da intagli geometrici sottili che spiccano sui braccioli e le gambe di tavoli e sedute, o sugli sportelli dei sideboard. Se paragonassimo lo stile di Colli alla personalità di un designer, potremmo affiancarlo a Gio Ponti: longevo, dinamico, in grado di captare le tendenze e i cambiamenti restando fedele al proprio stile, senza mai farsi influenzare troppo dalle mode.

E pensare che tutto è partito dai ricami….! Per ricostruire questa storia, dobbiamo fare un salto nell’800 a Torino, città poliedrica, per certi versi controversa a causa del suo carattere austero e talvolta introverso, ma cuore di una pulsione creativa tutta da scoprire: e se è sta primariamente nota per l’industria dell’automobile, c'è stato un tempo in cui Torino era all'apice della notorietà anche nel campo dell'arredamento e del ricamo, grazie alla presenza di due realtà imprenditoriali.

Da un lato c'era la MIRAM (Manifattura Italiana Ricamo A Mano) fondata da Pietro Colli nel 1850, specializzata nel tessuto gobelin e nel ricamo a bandera. La figlia Teresa viaggiava tra l'Italia e Parigi alla scoperta delle ultime tendenze di stoffe e ricami, mentre il fratello minore, Pier Luigi Colli (1895-1968), il protagonista di questa storia, entrò nella ditta nel 1921. Contraddistinguendosi per lo spirito intraprendente e la volontà di continuare il mestiere del padre, Pier Luigi era noto ai suoi contemporanei come “l’artista arredatore”, “l’industriale designer”, e non aveva dubbi sul futuro: partì per Parigi, dove frequentò L'École des Beaux Arts Décoratifs.

L'altra grande manifattura torinese da citare è la Martinotti, fondata nel 1931 da Giuseppe Martinotti e fornitrice di arredi di pregio per la corte sabauda, pezzi connotati da uno stile eclettico tipicamente ottocentesco, generalmente realizzati in legni esotici con intarsi in avorio e tartaruga: per l'epoca, la Martinotti rappresentava il top dell’internazionalità, avendo addirittura partecipato all'esposizione di Filadelfia del 1875!

I destini dei due marchi si fondono nel 1902, anno decisivo per Torino che, ospitando l'Esposizione Internazionale dell’Arte Decorativa Moderna, diventa la culla della diffusione del Liberty in Italia. Nella mostra, la Martinotti esponeva un interno in cui tutta la parte tessile, dai tendaggi fino ai rivestimenti delle sedute, era firmata da Colli. Fu nel 1926 che la Colli (MIRAM) acquisì la Martinotti, fondando un atelier in cui dal connubio del savoir faire delle due realtà, veniva creato un prodotto completo, dall'arredo al suo rivestimento, fatto su misura per il cliente.

Nel frattempo, Pier Luigi Colli vive a Parigi, il posto ideale dove trovarsi nel 1925, quando L’Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali moderne lo avvicina all'opera di uno dei suoi padri putativi, il grande ebanista francese Jacques-Émile Ruhlmann (Parigi, 1879 – 1933). Grazie a Parigi, Pier Luigi intreccia contatti con il beau monde internazionale, importa dalla Francia i vetri di Lalique, mentre la clientela di Colli si amplia e arrivano committenze speciali, come la realizzazione del Treno Reale dei Savoia con la Fiat, o l'aula magna dell’Università di Torino.

Il successo di un marchio si misura anche sull'apertura ad instaurare collaborazioni con i grandi progettisti del suo tempo, nel caso di Colli sfociate in importanti sodalizi creativi: da Gio Ponti, che si affida al marchio per la Richard Ginori a Roma, fino a Carlo Mollino, che con Colli crea i corrimano dell'auditorium RAI e i serramenti del Teatro Regio a Torino; sempre a Torino, gli architetti Morbelli collaborano con Colli per l'arredo del grattacielo RAI, e gli architetti Gabetti Isola per gli interni della Borsa Valori.

Negli anni ‘40 e ‘50, con una filiale anche a Roma, Colli è all'apice della produttività. La sezione del ricamo e del textile continua a essere un suo punto di forza, mantenendo vivi i rapporti con la Francia e i suoi grandi maestri: tra le ispirazioni, le forme geometriche delle stoffe degli interni di Ruhlmann, o i tappeti tattili di Marion Dorn. E così, un altro trademark di Colli diventa il “textured carpet”, un tappeto in cui la decorazione non è dettata dal disegno, bensì dalla diversa altezza del pelo!

Pier Luigi muore nel 1968, e gli succede la figlia Claudia; viene creata la Colli2, una collezione di mobili su progetto di Guido Drocco e Franco Mello, gli autori dell’iconico Cactus per Gufram, mentre la direzione è artistica affidata a Giorgio De Ferrari. Proseguono le collaborazioni con i più noti progettisti torinesi, come Giuseppe Raimondi, anche se la produzione del marchio inizia a trovarsi “in differita” rispetto al boom della produzione di serie che nel frattempo ha conquistato il mondo. La decisione finale è quella di mantenere le propria etica e identità, limitandosi ad agire come studio di progettazione, fino alla chiusura definitiva nella metà degli anni ‘80.